Archivi del mese: agosto 2009

un regalo

ho bisogno di un regalo, ma forse nemmeno quello può bastarmi.

non ne posso più.
non sopporto più il mio corpo. non riesco a vederlo ogni giorno, passo le mattine a martoriarmi in bagno per cercare di nascondere in ogni modo la barba, per riuscire a tagliarla il più possibile, senza mai riuscire ad ottenere un risultato perfetto, ma garantendomi un bruciore che riesce solo ad aumentare il mio odio verso il mio involucro. ed è solo un difetto. passo il tempo a lavarmi, perché ormai sono diventato maniaco. mi sento sporco in ogni momento, non mi sento mai “a posto”. riesco a sentire costantemente l’odore della mia pelle, odore di sebo, o sudore, o semplicemente corpo, anche se non c’è nessun odore. vedo cose che altri non vedono, sento cose che non sentono. alcune perché in realtà nessuno le nota, altre perché sono solo nella mia testa. ma non sopporto l’odore che sento allo specchio. non sopporto l’odore che sento in camera mia, il mio. non sopporto me.
sono qui, alle 3.12 di notte a scrivere, perché non riesco ad addormentarmi. il mio corpo non riesce nemmeno a fare ciò.
l’unica cosa a cui riesco a pensare è al mio corpo. non capisco che rapporto ho con esso. lo voglio, in fondo? forse averne uno totalmente diverso non farebbe alcuna differenza. o forse si. forse non mi mancherebbe questo. o forse si. ma ogni giorno, vedere sulla faccia qualcosa che non mi appartiene, che ho ma che rispecchia tutto ciò che non sono. questo si che è essere poser. e poi quel naso che di profilo mi fa sembrare un condor. e anche li problemi. e i capelli, quella massa informe che mi da un aria da secchione e che non so come cambiare, e che devo lavare ogni giorno, se non più spesso. e poi il grasso. sono sovrappeso, così sovrappeso da non poter fare niente di ciò che voglio con il mio corpo. non posso vestirmi come vorrei, non posso comportarmi come vorrei, non posso nemmeno andare in piscina.
e poi quella voce. quell’orrenda voce, che non riesco a cambiare. anche se tento di imparare un altra voce, che non ho.
e la gente mi dice di non preoccuparmi, che non posso lamentarmi del mio corpo, che sono nato così. lo so benissimo. ma io non voglio questo corpo, mi DISGUSTA, preferirei non averne altri. non so cosa posso fare per essere ciò che desidero.

voglio solo sentirmi bene e a mio agio, voglio camminare tra la gente ed essere visto per come sono dentro. voglio un aspetto perlomeno SIMILE a ciò che sono, non completamente opposto.

voglio un corpo nuovo, o non voglio nessun corpo.
voglio un regalo.

 

-edit:

una persona che conosco da poco tempo, ma che in breve è riuscita a farmi davvero affezionare, mi ha consigliato di rendere pubblico questo post. per più motivi. perché ciò che io considero sporco per altri può essere bello, perché qualcuno può sentire queste parole molto vicine alla sua situazione, che sia una persona nella mia stessa condizione o in una più “decisa”, o che comunque, nonostante tutte le differenze, può sentire suo quel disperato bisogno di cambiare, forse prima di riuscirsi ad accettare o forse proprio perché non potrà mai accettare di vivere una situazione che non gli appartiene. perché in ogni situazione si può cambiare, perché la realtà non è un insieme di dati immutabili. perché abbiamo il controllo del 95% di ciò che ci succede, e perché in fondo siamo tutti molto simili. possiamo crederci superiori o inferiori, ma nessuno è salvo. ognuno soffre e ognuno si rallegra.
e poter aiutare qualcun altro è davvero fantastico.
e forse dire ad alta voce ciò che penso aiuterà sia me che altri-
e grazie, grazie a te miss dita rosa. e a tutti quelli che mettono lo smalto rosa anche se non è bello- 

ho sempre odiato le pagine finali

di un libro. Mi sembrano sempre così dense di significato. Odio le conclusioni, le ho sempre odiate. Sia quando le devo leggere sia quando le devo inventare, scrivere. Sia quando devo farle. Odio concludere. Odio discutere, odio ogni azione che possa avere un impatto decisivo. Ma ho costantemente bisogno di esse. Ne abbiamo tutti bisogno. Odio, ma amo.

Odio le ultime pagine di un libro. Ma le amo. Mi rendono sempre triste, anche se sono allegre e gioiose. Abbandonare i personaggi, certo, è ciò che rende queste pagine così terrificanti. Ma ciò che più mi inquieta è il dovermi separare dalla storia, dai concetti. Dalla sua atmosfera, che riesce così tanto ad influenzare la mia quotidianità.
E’ per questo che leggo le ultime pagine col fiato in gola, sempre più lentamente. Leggo e rileggo. E’ così stressante. Ho paura di finire, di tralasciare una parola, di non assorbire completamente ciò che mi viene detto. Ho paura di non ricordare delle cose importantissime. Sembra un po’ la mia continua paura di dimenticare gli eventi importanti. Cosa che faccio sempre. 

 

Questo libro è finito. O almeno, tra due pagine lo sarà. Non ho il coraggio di andare avanti. Sono ancora fermo in quella New York di dieci anni fa, in una storia vera, circondato da crack e drag queens. Una New York che sento disperatamente mia. Quella che da piccolo sognavo sempre, senza mai rendermene conto. 
Avevo veramente bisogno di questa storia. Ne avevo veramente tanto bisogno. Non è una conclusione. Nemmeno l’incipit. E’ “qualcosa di quella roba lì in mezzo“.

 

•••

Cerco di autoconvincermi che ho imparato la differenza tra giusto e sbagliato. Che esiste una cosa come il giusto e lo sbagliato. Ma invece ho imparato che queste cose -il “giusto” e lo “sbagliato”- sono cose che ci raccontiamo noi. Semplicemente per illuderci. Sono cose che non abbiamo mai provato. E mentre la maggior parte delle cose che ci raccontiamo può essere vera, non è davvero possibile sapere se le cose sono giuste finché non le abbiamo provate, sfottute, esibite. O sapere se sono sbagliate. O vere. O false. O qualcosa di quella roba lì in mezzo. E penso di saper distinguere un po’ meglio. E so anche che non smetterò mai di provare questo mondo. Non mi affiderò mai all’opinione comune. Be’ fare così sarebbe troppo comune.
E allora. Continuerò a ballare con i miei costumi. Giorno e notte. E non dormirò, per quanto possibile. E tracannerò a più non posso. E forse, piroettando tutta luccicante, giocando a un idiota nascondino nel bel mezzo di un campo all’aperto, forse, forse, qualunque cosa succederà sarà più grande e scorderò ciò che mi sembra grande adesso.

Non ho ancora un piano, ma quando l’avrò so che sarà di classe. Oh sì. Un piano di gran classe.

Josh Kilmer-Purcell,
In questi giorni sono fuori di me